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Nel numero 101 di MC Microcomputer (novembre 1990), il giornalista Paolo Ciardelli contatta direttamente Federico Faggin per conoscerne l'opinione su questa faccenda. Faggin risponde così: “L'opinione che posso dare è solo superficiale in quanto non ho potuto prendere visione in maniera approfondita del brevetto. Comunque sono del parere che il sig. Hyatt non ha realizzato il microprocessore cioè non ha messo in pratica questo tipo di circuito elettronico: ha solo proposto un'idea di quello che già c'era.

L'idea di mettere insieme la funzione di una CPU (allora con questo termine si intendeva qualcosa della grandezza di una mather board) era nell'aria; il problema era mettere in pratica l'idea e Hyatt secondo me non lo ha fatto. Quindi penso sia una specie di montatura, e se vuole procedere per vie legali legali gli auguro buona fortuna. In ogni caso è una faccenda che non mi tocca in maniera diretta perché quello che ho progettato l'ho fatto mentre lavoravo per grandi aziende. […] Anche entrando nel mondo del possibile a mio avviso quello che proponeva Hyatt non era costruibile allora (1968). Comunque se qualcuno lo avesse realizzato avrebbe avuto il valore di un progetto ed il brevetto sarebbe valido se non per le sole cose specifiche che hanno reso possibile la fabbricazione di questo prototipo. Non si potevano brevettare l'idea di un microprocessore perché c'era già. Si potevano brevettare degli accorgimenti tecnici che permettessero la fabbricazione”. [Pag.143, MC Microcomputer, novembre 1990]

Come è possibile notare, già in quel periodo, nel 1971, cominciava a farsi largo la problematica relativa alla brevettabilità delle idee e dei concetti astratti. Se allora era vista ancora come una bestemmia, oggi sembra però la normalità (vedere, ad esempio, Oggigiorno disegnare rettangoli è diventato dannatamente costoso).

 

Foto di Hyatt apparsa su Popular Science, febbraio 1991

 

Nonostante fosse opinione comune che Hyatt alla fine avrebbe perso tutte le cause intentate, alcune case scesero a patti con il californiano (Hyatt riuscì ad ottenere oltre 70 milioni di dollari prima di vedersi revocare il brevetto, una cifra non indifferente per l'epoca). I grandi, invece, non si piegarono. Motorola, allora un colosso nel campo dei microprocessori, etichettò questa vicenda come una "notizia balneare" (visto che scoppiò ad agosto), mentre Intel evitò ogni commento a riguardo lasciando parlare solo i propri avvocati. La Texas Instruments fu la più dura, tanto che il brevetto fu invalidato proprio nel processo che la vedeva protagonista (1992): i dirigenti della casa texana andarono in paranoia pensando che qualcuno potesse riscrivere la storia dei microprocessori che loro stessi avevano aiutato a creare.

Gilbert Hyatt comunque affermò fin dall'inizio che la sua intenzione non era quella di far soldi, ma di vedere riconosciuti i suoi meriti: “I'm not doing it for the money. I was givern a gift to do certain things, and I've got to do them. That's my role in life”. [Pag.73, Popular Science, febbraio 1991] Di questo comunque non ne siamo proprio sicuri. Quando cominciarono a piovere i primi milioni Hyatt si trasferì in Nevada, dove le tasse per i grandi patrimoni erano tra le più basse tra gli Stati degli USA.

Il 28 dicembre del 1991 Hyatt subì la prima sconfitta in tribunale, contro Intel, presso il Patent Office's Board of Appeals. Il giudice affermò che il brevetto di Hyatt non descriveva adeguatamente il processo di realizzazione di un Microprocessore monolitico, al contrario di quello di Boone (1973), e che quindi le richieste relative alle royalties arretrate sarebbero decadute immediatamente riguardo tale aspetto.

Questa sconfitta comunque non fermò il californiano, poiché il suo brevetto copriva altre sfacettature relative alle CPU (tipologia dei BUS di comunicazione, memorie, ecc).

Alla fine, fortunatamente, il buon senso prevalse e nel 1992 le richieste di Hyatt finirono direttamente nei cestini delle varie Corti statunitensi incaricate di decidere della faccenda. Il Microprocessore monolitico tornava ad essere il figlio adottivo di tutti, con gran sollievo delle multinazionali coinvolte.