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E' il 1144 quando Roberto di Chester finisce di tradurre dall'arabo “Il libro della composizione di alchimia”. Avrebbe potuto farlo passare per un'opera propria essendo sconosciuta al mondo occidentale, rimaneggiandola, ma non lo fece. A Roberto di Chester bastava venire ricordato come il primo traduttore, dall'arabo ad una lingua occidentale, di una delle opere di alchimia più importanti mai scritte (almeno fino al suo tempo): “Cosa sia l'alchimia e la composizione di essa, ancora ignote al mondo latino, io spiegherò in questo libro. […] E mi è sembrato buono, giovevole verso di me, porre il mio nome al principio della prefazione a evitare che chiunque altro possa attribuirsi la mia faticosa opera e contestarmi la lode e il merito, come se fossero dovuti a lui”.

Quello era un altro mondo, molto diverso dal nostro. Si pensava fossero i meriti intellettuali o di guerra a fare l'Uomo, non il denaro o i possedimenti, ma come insegna la Storia personaggi attaccati ai beni materiali sono sempre esistiti, anche in Vaticano. Anche a quei tempi, è vero, ma da pochi questi si sono moltiplicati enormemente anche tra gli uomini di cultura, nell'arco dei secoli.

Questa visione materialista alla fine ha vinto, e negli ultimi due secoli si è cercato di legiferare a riguardo. Nel 1865 negli Stati Uniti d'America fu promulgato il Copyright Act Amendment, così da salvaguardare invenzioni, scritti ed idee. Lo scrittore inglese Jerome K. Jerome ne parla così nell'autobrografia: “L'America mi fece il favore di rubarmi il libro ["Tre uomini in barca (per tacer del cane)", ndA] e di venderne a centinaia di migliaia di copie. So che la mia prima peggiore disgrazia nella vita è stata quella di nascere in anticipo di sei anni: o per dirla con altre parole, che la coscienza della America, in fatto di diritti d'autore, si svegliasse sei anni troppo tardi”. [Pag. 61, “La mia vita e i miei tempi”, Jerome K. Jerome, Piano B Edizioni, Prato, 2012]

E' in quell'anno, il 1865, che termina la sanguinosa guerra civile iniziata nel 1861 tra Federati e Confederati. Il Governo centrale di Washington decise che fosse giunto il momento di cominciare a proteggere la propria industria, cresciuta prospera e potente copiando quanto gli scienziati degli altri paesi avevano creato. Accumulata una solida base di conoscenze o, come dicono gli anglosassoni, di “Know-How”, in maniera del tutto gratuita, giunse infine il momento di vendere a caro prezzo i prodotti di casa. Una situazione simile a quanto sta accadendo oggi con la Cina.

Il mondo dei brevetti ha però da sempre provocato molti problemi. Uomini senza scrupoli e profittatori hanno utilizzato questi strumenti per farsi ricchi alle spalle dei reali inventori di una determinata tecnologia. Basta ricordare la vicenda relativa all'invenzione del telefono, che ha visto Antonio Meucci e Alexander Graham Bell quali protagonisti.

Ancora oggi è pratica comune brevettare invenzioni o idee non proprie, così da citare in giudizio altre aziende per farsi pagare royalties, oppure per vietare la commercializzazione di prodotti concorrenti in determinati mercati. La ragnatela di cause ancora in corso tra i vari produttori di Smartphone e Tablet ne è un buon esempio, e il brevetto del parallelepipedo con angoli smussati è il punto più basso a cui si è fino ad ora giunti.

Il biennio 2012-2013 ha toccato l'apice dell'idiozia in tale contesto, periodo in cui si è tenuto il processo per determinare chi fosse l'inventore del World Wide Web. Avete capito bene, un uomo, Michael Doyle, CEO della società EOLAS, ha tentato di diventare il padre di Internet, intentando causa a mezzo mondo, e questa volta non si tratta di un modo di dire. Sul banco degli imputati si sono accalcati IBM, Google, Microsoft, Apple ed altre grandi aziende, accompagnate dai più grandi avvocati degli States. Alla fine hanno vinto ma Doyle, nell'arco degli anni, è riuscito a raccogliere diverse decine di milioni di dollari grazie a cause minori. Ad esempio una causa contro Microsoft relativa ad Internet Explorer gli fruttò circa 70 mln di dollari nel 1999.

L'aver vinto cause di questo genere, tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio, convinse il californiano a tentare l'All-In, come si usa dire tra i giocatori di Poker, gioco famosissimo in Texas, e proprio in Texas si è giocata l'ultima partita tra il Principe dei Patent Troll ed i Big dell'IT. Perché Principe? Perché il Re tentò la stessa manovra, per primo, vent'anni prima.

Doyle ha tentato il colpo della vita con il Web, la gallina dalle uova d'oro contemporanea, e se avesse avuto successo sarebbe diventato multi miliardario. Fortunatamente ha perso. Un altro uomo all'inizio degli anni '90 tentò un colpo simile, il californiano Gilbert Hyatt, quando dimostrò, almeno inizialmente, di essere l'inventore delle CPU.

Come andò a finire?