Dopo la pubblicità di circa un'ora che mi sono sorbito (ed io che mi lamento degli spot di qualche secondo su Youtube …) si è finalmente giunti al fatidico momento delle domande, e non mi sono certamente tirato indietro, ma prima di continuare con la presentazione di Samsung mi sembra essenziale capire come la casa coreana è giunta a formulare tale proposta per le scuole italiane. Come ho già avuto modo di affermare, Samsung (come Dell, Hitachi e le altre impegnate in questa opera di digitalizzazione) è prima di tutto una società che vuole fare utili, che vuole vendere, e il comparto scolastico è un bacino d'utenza praticamente illimitato, considerando l'usura dei mezzi e il grande ricambio di utenti. La Scuola è un investimento e deve andare a buon fine. Bisogna necessariamente scegliere gli uomini giusti su cui fare affidamento, così da avere delle buone chance per affermarsi. Cerchiamo allora di capire di chi si fida Samsung.
Partirei, anche se non era presente a Milano, da Pierpaolo Limone, Professore Associato di Pedagogia dei Media presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia. Prima di scrivere questo articolo, da buon giornalista, mi sono voluto documentare su quanto queste persone hanno scritto, con chi hanno collaborato e via di questo passo. Se adesso può sembrarvi eccessivamente zelante, alla fine dell'articolo penso comprenderete bene il mio modus operandi.
Tornando a noi, comincerei parlando di Pierpaolo Limone in quanto nel suo libro L'accoglienza del bambino nella città globale (2007) ci presenta un'idea di preadolescente molto vicina a come vorrebbe che fosse universalmente visto dalle multinazionali: un piccolo, autonomo consumatore.
Qui lo stralcio:
“Sin dai primi anni di vita i bambini stabiliscono una relazione speciale con le tecnologie della comunicazione, attraverso prodotti che sempre più presto investono l'attenzione dei piccoli. Si pensi, ad esempio, ai Teletubbies ed al loro fitto merchandising rivolto ai bambini fino ai tre anni, oppure al vasto mercato delle collezioni di abbigliamento che adotta strategie di vendita ugualmente pervasive per ogni fascia di età.
Bambini e preadolescenti vivono esperienze sociali gratificanti nella loro relazione con i media e la cultura di massa che non li isola affatto piuttosto li socializza in un universo di pari che co-consumano gli stessi prodotti ed apprendono gli stessi linguaggi. Molto presto nella vita infantile si struttura una relazione esclusiva tra bambini e media dove i genitori ed altri adulti significativi sono lasciati fuori, quasi a postulare una gestione diretta -responsabile- del prodotto ludico o del messaggio mediale.
La spinta che viene dal mondo del consumo orienterebbe la pedagogia dell'infanzia a lavorare proprio in questi interstizi conoscitivi, nell'interfaccia fra bambino e media, senza alcuna altra sollecitazione ed alcun altro obiettivo. Può bastare?
Sicuramente l'esperienza sociale che caratterizza la relazione tra bambini e media, i modelli di apprendimento impliciti nella relazione con i video giochi o con la televisione multicanale o anche la possibilità didattiche dei nuovi media sono di grande interesse per le scienze dell'educazione, ma forse è necessario sviluppare un nuovo approccio.
Nuovo sia per le modalità di studio perché la cultura dei bambini, anzi le stratificate e interconnesse culture dei bambini, si possono studiare solo attraverso un approccio interdisciplinare, aperto al dialogo con le migliori esperienze internazionali ed attraverso metodologie di ricerca empirica e sperimentale appropriate; e nuovo anche e principalmente per l'orizzonte di riferimento che non può che recuperare l'idea di bambino-in-situazione, l'idea di un bambino persona che vive all'interno del piccolo gruppo sociale (la famiglia) la sua originalissima avventura umana. Se isoliamo il bambino e lo guardiamo come soggetto in dialogo con i media, perdiamo una parte della sua identità come persona. Dobbiamo invece considerare il suo universo personale e al suo interno collocare i media, come ospiti di una esperienza che deve trovare la sua sorgente di significazione nella persona e soltanto in essa.
Non si tratta di dire sì o no ai media. Sarebbe una grossolana banalizzazione e forse persino una mistificazione. Si tratta invece di capire se pensiamo ad un bambino che punta all'autonomia e quindi all'autodirezione o se invece pensiamo ad un bambino eterodiretto e quindi escluso dai processi di crescita che lo porterebbero a celebrare il senso della libertà.
Il mondo è popolato da città sempre più simili e i bambini si assomigliano sempre di più perché aspirano a fare parte di una indivisa e globale sfera culturale infantile. Tutti i bambini che vivono nella metà ricca del mondo conoscono i Pokemon, tutti giocano con il merchandising de degli Incredibili, tutti sanno chi è Harry Potter”. (L'accoglienza del bambino nella città globale, Pierpaolo Limone, Armando Editore, 2007, Roma, Pagg. 197-199)
Come si avrà inteso, Limone considera il bambino, o il preadolescente, già in grado di capire cosa effettivamente può farlo crescere culturalmente. Il fatto che i Teletubbies, i Pokemon o Harry Potter siano così famosi presso il pubblico di più giovane età non è necessariamente imputabile alla noncuranza dei genitori o all'elevata esposizione a media pubblicitari: il bambino sceglie di propria iniziativa, perché fa parte del mondo occidentale. Allo stesso modo potremmo affermare che i giochi su Facebook (Farmville, Mafia Wars, ecc) sono giocati da persone “sempre più simili e gli utenti di Facebook si assomigliano sempre di più perché aspirano a fare parte di una indivisa e globale sfera culturale” (In grassetto le mie modifiche). Può reggere quest'ultima affermazione? Direi di no, ed il motivo lo conoscete anche voi, lettori, senza che stia a scriverlo. Inoltre, scusate la volgarità, ma neanche sotto tortura vorrei far parte di quella sfera culturale!
In poche parole, quello che Limone offre a Samsung è una visione pedagogica che strizza l'occhio al mercato consumistico, e quindi al marketing. Quando ad Ernesto D'Alessandro ho chiesto telefonicamente cosa ne pensasse del successo che stanno riscuotendo i prodotti Apple tra gli insegnanti, nonostante abbiano un supporto alla didattica inesistente (ad esempio gli insegnanti di DIDATEC ed Indire utilizzano quasi esclusivamente iPad); mi è stato risposto che se Apple ha successo è perché se lo merita, perché è riuscita a creare un marchio forte facile da riconoscere, e Samsung punta al medesimo risultato rafforzando il brand Galaxy. Quando Limone afferma che i bambini sono consapevoli di quello che scelgono (Teletubbies, Pokemon, ecc) implicitamente rende i bambini “terreno di caccia” per le multinazionali (o comunque per chi vuole farne dei piccoli consumatori).
Samsung, equipaggiando le scuole con i propri terminali, vuole fare il salto di qualità. Abituando gli scolari ai propri prodotti, la casa coreana spera di poter creare uno zoccolo duro d'utenza anche al di fuori delle mura scolastiche, al pari di quello che fece Microsoft con l'informatizzazione della scuola italiana tra la fine degli anni '90 e l'inizio del primo decennio del 2000. Se da un lato andò bene, per Microsoft, per le istituzioni italiane fu un vero calvario. Ancora oggi paghiamo le conseguenze di un piano di informatizzazione mal definito (competenze minime da parte di studenti ed insegnanti, ECDL inutile), mentre Windows e Office imperano sia nelle case sia negli uffici pubblici. Se il bambino si diverte a scuola con i tablet della Samsung, beh, genitori, dovreste comprarne uno anche per un utilizzo domestico!
A supportare l'idea pedagogica di Limone provvede Pier Cesare Rivoltella, Professore Ordinario di Didattica e Tecnologia dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’Università Cattolica di Milano, il quale prende ad esempio per quanto riguarda la digitalizzazione la Gran Bretagna. Gran Bretagna che recentemente sta avendo non pochi ripensamenti a riguardo, come abbiamo avuto modo di scrivere nello scorso articolo, soprattutto nell'uso di Facebook da parte degli insegnanti e nella scelta del materiale (tablet, software, ecc). A tal proposito il Prof. Rivoltella scrive sul proprio blog: “Quale tipo di sguardo predispongono internet e il social network? Qual è il visibile di Facebook? Giocando sui termini, mi verrebbe da dire che in Facebook "si vede quel che ci viene fatto vedere". In qualche modo questo significa tornare a recuperare lo sguardo del cinema classico, ma con una differenza sostanziale. Quello sguardo portava iscritto un progetto autoriale forte, eticamente consapevole. Nel cinema classico, come Bazin faceva notare, i due tabù della rappresentazione (l'amore e la morte) non vengono mai trasgrediti: si vede quel che si vede, ma nei limiti che al visibile impone il Soggetto Enunciatore. Nell'infosfera, nel social network, al visibile non vengono imposti limiti. Il problema passa al lettore, all'utente: è alla sua responsabilità che sta di ridefinire eticamente quei limiti che il visibile di suo non possiede più. Ecco perché più volte mi è capitato di ribadire che oggi la vera frontiera della media education non è quella del senso critico, ma della responsabilità. Dalla provincia ideologica si deve passare senza esitazioni alla provincia etica”.
A mio parere il Prof. Rivoltella vede nella didattica multimediale quell'ancora di salvezza che non è. La media education (ME) non può educare alla responsabilità non più della didattica tradizionale (anzi, probabilmente meno). Tutti comprendono che quello che si posta su internet ormai è proprietà di internet, quindi di tutti, eppure non ci si fa problema a caricare sui propri profili Facebook di tutto e di più, calpestando la propria privacy. Senza una solida base tradizionale, gli strumenti didattici multimediali sono del tutto inutili. V'è però effettivamente un vantaggio derivante dai Social Network, per chi vuole conoscere di più su una persona: l'accesso, appunto, alle informazioni personali. Ad esempio ho scoperto che Rivoltella è un fervente cattolico, in quanto posta quasi settimanalmente almeno una citazione di Papa Francesco, che è sposato ed ha un figlio, e che attraverso i profili collegati posso sapere chi sono e cosa fanno sia la moglie sia il figlio. Il lettore di questo articolo, non solo potrà farsi un'idea più precisa del Prof. Rivoltella attraverso i suoi libri e i suoi post sul blog, ma anche attraverso l'osservazione della sua vita sociale, e dei suoi parenti, attraverso i Social Network.
Anche per il MOIGE, il tanto vituperato Movimento Italiano Genitori, associazione ultra cattolica e conservatrice, i Social Network possono essere un buon veicolo di controllo. Il MOIGE nell'arco degli anni si è fatta conoscere per l'aver fatto spostare, od anche cancellare, dai palinsesti programmi televisivi giudicati non adatti per determinate fasce orarie. Nella pratica, si è sostituita ai genitori, scegliendo per loro cosa i bambini dovessero guardare. L'uso dei Social Network, quindi, può agevolare l'attività di controllo dei genitori, e questi sono ben contenti: è più facile controllare e proibire, piuttosto che educare. Se prima leggere il diario segreto della propria figlia era considerato eticamente sbagliato, ora è del tutto legittimo osservarne il profilo online: è la stessa figlia a rendere palesi al mondo i propri pensieri e le proprie azioni, senza che voglia nasconderli.
Il coinvolgimento del MOIGE nel programma di Samsung si lega a doppio filo alla passione del Prof. Rivoltella, fervente cattolico, come precedentemente sottolineato, per Len Masterman, fautore della già citata media education (ha curato l'edizione italiana di “A scuola di media. Educazione, media e democrazia nell'Europa degli anni '90”, di Len Masterman). Avere il supporto della Chiesa Cattolica, in Italia, è il primo passo per il successo.
Caratteristica peculiare della ME, teoricamente, è l'utilizzare le tecnologie non come strumento ma come mezzo per fare educazione: i bambini non imparano dal tablet o dal computer (come se fossero la stessa cosa ...), ma attraverso questi, attraverso il “fare” attivo e non passivo. Semplificando, utilizzando i media tecnologici come veicolo dei propri pensieri, automaticamente si migliorano le skill per padroneggiarli ed al contempo si accrescono le proprie conoscenze attraverso la condivisione. Buttando lì una battuta, sì è trasformato 4chan in una teoria pedagogica.
Stranamente quando si parla di Media Education, i terminali utilizzati sono quasi sempre Apple ...
Eppure la passione per l'utilizzo dei più recenti mezzi digitali sta subendo qualche contraccolpo anche negli Stati Uniti, patria di queste teorie d'insegnamento. Negli ultimi anni negli USA si è acceso un dibattito relativamente alle scuole di natura pratica o, per esemplificare, le nostre vecchie scuole di avviamento professionale, ormai scomparse da tempo sul nostro territorio. Negli USA, infatti, v'è la mania di dover forzatamente conseguire una laurea per accontentare il proprio Ego e quello, soprattutto, dei genitori: se non si è avvocati, manager o ingegneri non si è nessuno. Al diavolo i lavori manuali come carpentiere, muratore, operaio, quelli sono lavori per morti di fame ed immigrati. Negli ultimi anni, però, questo modo di pensare ha cominciato a scricchiolare, in quanto la ricchezza non si produce solo stando seduti su una poltrona. I critici dell'attuale sistema educativo stanno guardando alla Germania ed al suo sistema Vocazionale: chi non è attirato dallo studio di materie teoriche o da lavori d'ufficio, può intraprendere degli studi mirati ad apprendere competenze pratiche, di tutti i tipi, senza che vengano considerati lavoratori di serie B. Secondo la mentalità tedesca, se è vero che senza un Ingegnere non si può progettare una diga, è altrettanto vero che senza Operai specializzati quella diga non potrà essere costruita ottimamente. Non è un caso che gli Ingegneri della U.S. Navy, l'ultimo anno di studi, vadano in Germania per fare pratica sul campo, poiché negli USA non esistono scuole del genere, equipaggiate con tutti gli strumenti del caso. E questo avviene dagli anni '60: gli Ingegneri della più grande flotta militare al mondo, vanno a fare pratica attiva presso una nazione che possiede una delle più piccole marine militari tra i paesi della NATO! Quando la giornalista Maria Latella, durante la conferenza, ha espresso meraviglia per il decadimento della scuola italiana negli ultimi anni, bisogna guardare a questo: si è tentato di copiare acriticamente il sistema educativo anglosassone, senza essere né la Gran Bretagna, né gli Stati Uniti d'America. Gli istituti tecnici sono stati denigrati, le scuole di avviamento professionale abolite, i corsi di laurea sono stati annacquati per attirare più studenti. Avrebbe mai potuto funzionare un trapianto del genere? Eppure è quello che si sta tentando di fare anche con questa riforma scolastica.
Proseguendo in questa carrellata, veniamo ad Alfonso Rubinacci, il quale ha curato un Dossier intitolato “Scuola digitale ed educazione”. In questo approfondimento compare un'intervista alla Prof.ssa Rita Coccia, la quale afferma: “I nostri studenti acquisiscono nuove conoscenze, sviluppano abilità e competenze non solo nel ristretto contesto scolastico, ma in contesti molto più ampi e globali. Quello che gli esperti individua no infatti come ‘apprendimento formale’ rappresenta ormai solo una parte dello sviluppo cognitivo dell’individuo. Le tecnologie consentono, attraverso l’ambiente virtuale della rete e l’interconnessione, di apprendere in modo organizzato, ma non formale e spesso l’apprendimento stesso avviene tra pari, in una grande community dove tutti i soggetti contribuiscono ad accrescere le competenze comuni. Quando la scuola avrà piena consapevolezza di questo cambia - mento, peraltro non più reversibile, il divario tra docenti-studenti comincerà ad assottigliarsi”. Quello che sfugge a molti di questi fautori della parificazione totale dei ruoli attraverso la digitalizzazione (mi ricordano tanto i Livellatori durante la rivoluzione di Cromwell), è che Internet non è un'istituzione democratica, se si è frequentato anche solo limitatamente un forum o un chan (mai rivenuto un Ban ritenuto ingiusto?). Secondariamente, è vero, c'è lo scambio di competenze, ma questo scambio è infinitamente minore rispetto alla semplice condivisione di informazioni ed opinioni. Possiamo osservarlo nei forum di informatica: le vere novità sono minime, in quanto spesso ci si limita o a scambiarsi informazioni già disponibili (risoluzioni di problemi, consigli di acquisti, ecc) o esperienze vissute (come mi trovo con la nuova scheda video et similia). Vi è una condivisione di esperienze, più che di conoscenze vere e proprie, ma di questo parleremo nel prossimo paragrafo.